martedì 29 giugno 2010

Il Resto Del Carlino - Bologna - Sport - PODISMO, I RISULTATI DELLA CRONOSCALATA A SAN LUCA


Il Resto Del Carlino - Bologna - Sport - PODISMO, I RISULTATI DELLA CRONOSCALATA A SAN LUCA


I miei polpacci ricordano bene i primi 400 metri di questa salita: la serie di ripetute svolte in quel tratto li aveva compromessi per diverse settimane. Ora però si tratta di proseguire oltre: due chilometri a perdifiato, pendenza media del 10,8% e massima intorno al 18%. Pendenza che mi umiliò lo scorso settembre, alla mia prima esperienza nella Casaglia – San Luca. Gara storica, quest’ultima, un tempo animata da atleti di livello internazionale applauditi da appassionati e curiosi. Negli anni la partecipazione, sia di podisti che di pubblico, è andata scemando, ma nel 2009 a fare numero c’ero anch’io. Bisogna provarla almeno una volta, mi dicevano. Sarà, ma io non trovo nulla di affascinante nel correre al buio, senza vedere dove si mettono i piedi. Non parliamo poi della discesa. Già, proprio quella che sto adesso affrontando in senso inverso. Quella sera, arrivata alla curva delle orfanelle, avrei voluto potermi aggrappare a qualcosa. Non riuscivo né a correre né a frenare: panico! Mi sentivo tanto Willy il Coyote, in prossimità del burrone. Letteralmente piantata, provai a recuperare qualcosa nel tratto finale, ma la figura della papera imbranata ormai era fatta.


In salita è tutta un’altra storia. Le orfanelle non perdonano neanche in questo versante e, onestamente, correre o camminare qui fa poca differenza. Ma, come si dice, chi si ferma è perduto. È una questione puramente mentale: se solo azzardassi un cedimento e interrompessi la mia pur arrancata andatura, faticherei doppiamente a rimettermi in moto. La podista davanti a me (partita 30 secondi prima) continua a correre: se non si ferma lei, non mi posso di certo fermare io. O schiatto o… provo a prenderla. A meno che non stia cominciando a sentire le voci, colgo grida incitanti: ovviamente non vedo nessuno, ma è bello sapere che, in questo torrido sabato pomeriggio di fine giugno, c’è qualcuno che si entusiasma ad assistere a dei poveri pazzi che rischiano il cuore in una cronoscalata.


Per una manciata di metri manco il sorpasso. E per due manciate di secondi mi sfugge la seconda posizione. Ma che importa? È la mia prima esperienza del genere, va bene così! Un’altra novità, un’altra soddisfazione: che sia un buon segno?

giovedì 17 giugno 2010

L'orso in staffetta


Un orso resta tale anche in compagnia. Se ne starà sempre un po’ sulle sue, dilungandosi brevemente in chiacchiere e concedendo timidi sorrisi: finendo perlopiù con l’apparire altezzoso e scostante. Dentro di sé, però, per quanto debba imporsi di accettare qualche invito, deve ammettere di trarre godimento dalle occasioni di aggregazione alle quali si è sforzato di partecipare.

La staffetta no! Speravo non se ne facesse nulla. Non se n’era più parlato, e ormai mancano solo due giorni. Mi ero già programmata tutto per benino: martedì progressivo, mercoledì tapasciata, giovedì ripetute… Cosa accidenti me ne faccio di una staffetta?
Uffa, quanto rompi…Vai e divertiti, non puoi negarti continuamente!
Beh, come darti torto? La mia prima esperienza in una gara del genere, circa un mese fa, mi è sembrato un evento tanto strano che quasi stentavo a riconoscermi. Come mi vedessi dall’esterno: in fremente attesa del tocco della compagna, poi tuffata sull’altra per darle il cambio, rabbiosa nel tentativo (ahimè fallito) di difendere la posizione. Io, con Silvia e Samanta, ad alternarci su un giro infernale di 400mt, per cinque volte. Un massacro. Sconfitte dalle velociste del CUS – e la più forte sfidava proprio me, potevo non sentirmi responsabile del risultato? Nessuna delusione invece sui volti altrui, anzi. Ci siamo divertite e abbiamo fatto un bell’allenamento, non è vero? Proprio così. Quando mai capita di correre una serie di ripetute con l’incitazione dei compagni? E di spremersi con doppia motivazione – prova personale e risultato della squadra? Il tutto in un contesto allegro e, per quanto competitivo, spensierato.
Allora perché defilarsi da un’ulteriore opportunità? Inutile, l’orso resta orso… Meno male che c’è un altro orso a bacchettarlo quando serve, mandandolo fuori a calci se necessario.

Così eccomi pronta per una nuova staffetta. Nonostante stavolta non possa neppure considerarla un utile allenamento: solo 1 km e 50 metri, unica tirata in apnea. Insieme a me, Monica, Silvia e Francesca. In più, il nostro presidente ad assistere. Che onore! Lui considera già vincenti le ragazze del CUS. Staremo a vedere. In verità, non avverto nessuna tensione agonistica. Sono tranquillissima. Mi sfiora appena il timore di essere io a determinare un’eventuale sconfitta, ma è solo un’ombra passeggera. Per il resto, chiacchiero e scherzo serena fino al momento della partenza. Monica si lancia e in un attimo è già sul rettilineo d’arrivo, totalmente indisturbata. Silvia prende il testimone già notevolmente avvantaggiata. Per me, gli ultimi allunghi prima di posizionarmi nell’area di cambio, insieme all’avversaria del CUS. Noi siamo ancora in testa, non devo farmi agguantare! Un tratto con vento contrario, ma le gambe girano, eccome! La curva a U blocca la spinta, vedo però che ho un buon margine. Mi lancio a tutta, fin quasi a perdere il controllo: non sono decisamente abile nel coordinare la velocità. Ma ecco Francesca, è fatta! Per lei nessuna difficoltà, pochi minuti e la vittoria è nostra.
Si sprecano i complimenti sulla mia prestazione: evidentemente stupisce vedermi alla prova in simili occasioni. Sapete cosa vi dico? Che d’ora in poi quest’orso lo vedrete più spesso. E non finirà di stupirvi.

sabato 12 giugno 2010

memorie

- Le senti le endorfine?
- No, non sento niente, e non parlo mentre corro.
- Uffa, allora tanto vale correre da soli.
Ecco, appunto. È quello che ho sempre fatto e che avrei volentieri continuato a fare, se tu non avessi supplicato compagnia. Non sono riuscita a dire di no. Sembravi talmente angosciato dall’idea di allenarti da solo, che quasi mi sono sentita io quella strana. Io, che amo la solitudine, che non sopporto le intrusioni, che amo ascoltare il calpestio delle mie scarpe, percepire gli afflati del mio respiro, inseguire il vortice dei miei pensieri. Avrei scelto un altro sport se amassi il gioco di squadra. Tu invece temi di entrare in crisi dopo una manciata di chilometri se non hai qualcuno accanto. Eppure, non è proprio questo il bello delle lunghe distanze? Si parte rilassati, per poi entrare in una sorta di trance, finché la fatica tenta di prendere il sopravvento: è qui che la sfida si fa avvincente. L’ultimo chilometro spinto al limite, per ritrovarsi stremati e appagati. Insieme si fa meno fatica? Sarà…
Non parlo, te l’ho detto. E se stessi un po’ più zitto anche tu te ne sarei grata. Mi trovi troppo lenta? Prego, la strada è libera. Questa andatura per me è perfetta, ma tu sei più veloce e faresti bene a procedere per tuo conto. Io risparmio fiato, e mi lascio scivolare addosso le tue disquisizioni: ti pare questo il momento per confrontare i dati dei tuoi allenamenti, o di discutere su quale ritmo dovremmo tenere oggi per assicurarci una grande performance in maratona? Già, la maratona. Se tu usassi meglio la testa riusciresti a terminarla in molto meno di tre ore, ma non vuoi darmi ascolto. Quindi taccio. Se lo vuoi capire…
La salita è dura, per mia fortuna c’è qualcosa che riesce a chiuderti la bocca. Forza, respira, che non siamo neppure a metà. Inutile fare il fenomeno adesso, poi la pagherai tutta. I chilometri che precedono il giro di boa sono micidiali, stai accusando anche tu, non negarlo. Ora hai smesso di lamentarti per l’andatura troppo blanda, chissà, forse hai capito che non serve tirarsi il collo in questo genere di allenamenti.
Ecco il sedicesimo chilometro: dietro front! Inizia il tratto più scorrevole, e già ti sei dimenticato la fatica appena consumata. Certo, ora le gambe girano bene e la strada scivola veloce, ma che bisogno c’è di fare tutta questa sceneggiata? Non credere di poter volare fino al punto di arrivo, forse hai dimenticato che i pendii superati all’andata si ripresenteranno anche al ritorno. Niente da fare, ormai ti ho perso: preso dall’euforia, ti allontani salutando con la mano. Ciao ciao. Finalmente prendi l’iniziativa. Visto? Si può correre benissimo anche da soli, anzi, sembra che ti riesca persino meglio. Perché non ci hai pensato prima? Io mi godo il ritrovato silenzio, sempre concentrata sul mio ritmo. Il peggio deve ancora venire, sono gli ultimi dieci chilometri che presentano il conto, i cinque finali in particolare. Ti vedo in distanza che scali la rampa, poi sparisci dietro la curva. Sarai lì che inneggi alle tue endorfine, fortuna che nessuno deve sopportarti. Procedo regolare, ormai completamente sola. Fa decisamente caldo, sento le gocce di sudore scivolarmi sulle gambe, le dita delle mani sono raggrinzite come fossi appena uscita da un bagno. Ho saputo controllare l’andatura, perciò non dovrei incappare in sorprese. In fondo, non manca poi tanto. L’ultimo chilometro invita alla volata: degrada un po’ per poi impennarsi, sfidando le forze che ancora animano gli arti. Cinquecento metri in apnea. È fatta. Anche per te, che ancora stai boccheggiando. Per poco non ti riacchiappavo. Hai voluto strafare e adesso sei in coma. Non era qui che dovevi dare prova di velocità, se solo lo volessi capire. Come? Domenica prossima un altro lungo? Se proprio ci tieni…
Un anno dopo. Stessa strada, medesimo programma. Anche il clima è invariato: identico caldo torrido. Diversa è invece la compagnia. O meglio: stavolta, nessuna compagnia. Maurizio se n’è andato. Sembrava scherzasse. Mollo tutto, mi trasferisco in Sardegna. Così è sparito. Assicurandomi che, una volta sistemato, mi avrebbe chiamato e che, comunque, avrebbe presto trovato l’occasione per tornare a correre insieme. Sto ancora aspettando. Ancora sto aspettando una risposta, un cenno, una traccia. E’ vero: quando mi imponevi la tua presenza ti avrei mandato a quel paese, ma ora che non ci sei, mi manchi. Che ne è stato della tua sviscerata passione per la corsa, della tua accanita ricerca della prestazione, del tuo tendere costantemente ad un migliore risultato? Tutto azzerato. Non per me, che continuo a percorrere queste strade con immutato entusiasmo. E ancora sorrido immaginando le tue endorfine.

venerdì 4 giugno 2010

Maratonina Polpenazze del Garda



Pazienza se sarò sola, se la mia presenza sarà ininfluente, se per la mia società rappresento solo un numero. Sto preparando questa gara da un mese, in un mese ho cambiato programmi, metodi e obiettivi per tentare di riscattare il fallimento di Padova. Quelle che contano hanno dato forfait? Peggio per loro. Io il 30 maggio sarò a Polpenazze del Garda, sulla linea di partenza.
O almeno spero. Strada facendo tutto viene di nuovo messo in discussione, stavolta per la distrazione del nostro capofila, che non sembra avere ben chiara la collocazione geografica del luogo. Manca poco più di mezz’ora al via quando arriviamo: forse è meglio così, meno tempo per accumulare tensione. Del resto, cosa dovrebbe innervosirmi? Nessuno da sfidare se non la mia capacità di mantenere ritmo, lucidità, determinazione. Semplice, no?... L’avevo già constatato: cambiare aria, ogni tanto, è decisamente salutare. Correre lontano dai consueti percorsi, dalle solite avversarie, dai reiterati campionati alleggerisce le aspettative. Competere contro tutti e nessuno, impegnandosi esclusivamente a dare il massimo. Devo ammetterlo, essere soltanto un numero a volte è un vantaggio.
Partenza fluida, priva di eccessive pressioni o imbottigliamenti: ottimo inizio. L’ondulazione del percorso si fa sentire da subito: gestibile, certo, ma sufficiente a togliere affidabilità ai rilevamenti intermedi – ammesso che le segnalazioni chilometriche siano posizionate correttamente. Il passaggio al decimo km è soddisfacente. Non avverto però belle sensazioni, occorre allontanare immediatamente l’ombra della crisi. Ci pensa la salita a rimettermi in riga. L’incremento delle pendenze, infatti, mi è stranamente d’aiuto. Chissà, forse quando la sfida si fa dura divento più cattiva. Se poi mi capita di essere superata, comincio a vedere rosso. Punto l’avversaria e non mi do per vinta. Colgo il suo affanno, non sta certo meglio di me. Approfitto di un passaggio favorevole e allungo: segno che ho ancora energie da spendere. Ho appena guadagnato terreno quando un’altra ragazza mi sfila davanti. Brava, ha saputo gestirsi nella prima parte per dare tutto sul finale. È anche molto più giovane di me – sigh. Passato il sedicesimo chilometro, ormai dovremo scollinare. E io ne approfitto. Proprio io, che ho sempre aborrito le discese, che più volte mi sono piantata dopo avere scalato rampe impressionanti; io, quella dalle lunghe leve, inadatte ad articolarsi nei declivi, ho improvvisamente imparato a buttarmi in picchiata. Accadde all’improvviso, in quella che resta la mia gara più magica – la prima edizione della Stralugano. Dovevo liberarmi dell’avversaria che mi stava tallonando dal primo metro e cominciava ad irritarmi seriamente. Così, superata la mezza maratona, in prossimità di una bella discesa, decisi di salutarla. Gli ultimi dieci chilometri a tutta, lasciando che le gambe assecondassero la strada: persino io stentavo a crederci, mi sembrava quasi di vedermi correre, come non fossi io quella che stava volando verso il traguardo. Fu una prestazione storica che, ahimè, non ebbe repliche. Conservai però quella capacità di affrontare le discese (sempre che non fossero eccessivamente ripide e/o sterrate), capacità che tuttora mi permette di guadagnare diverse posizioni. E così è stato anche a Polpenazze.

Mi aspettavo di essere nuovamente superata da un momento all’altro, i volontari sul percorso incitavano la ragazza ora alle mie spalle (evidentemente appartenente ad una società coinvolta nell’organizzazione). Particolarmente a rischio l’ultimo chilometro, nuovamente in salita. Non mi volto, non lo faccio mai. Riesco ancora a spingere, a trovare grinta per un arrivo dignitoso. Pessima idea quell’arco e quella riga sull’asfalto quasi in angolo, a nascondere il vero traguardo 97 metri oltre: verrebbe da fermarsi lì, e sicuramente qualcuno l’ha fatto, rischiando di restare fregato in volata. Fortunatamente sono abbastanza lanciata: mi fermo solo per accogliere la medaglia al collo.
Il crono è solo un dettaglio, questo percorso non concedeva nulla. Conta aver ritrovato carica e decisione. Se poi vogliamo approfondire l’analisi, va considerato che questa è la mia migliore prestazione cronometrica degli ultimi due anni. Felice di essere qui. Felice di ricevere il premio per la quinta classificata di categoria. Felice di avere acquistato un pizzico di fiducia in me stessa. Non oso affermare che sto ritornando, un pochino però comincio a crederci.
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