martedì 15 maggio 2018

Diario di un calcagno - Giorno 13


Troppo impressionabile, troppo ansiosa. E, da ultimo, anche ipocondriaca. Vedo un amico che mi racconta di essersi precipitato al pronto soccorso a causa di un dolore toracico, dovuto semplicemente ad un’accumulo di tensione (come accaduto a me, almeno due volte nell’ultimo anno), e in sogno mi fa visita il medico sportivo che esita nel rilasciarmi il certificato di idoneità. Ci manca solo che si ripresentino le crisi notturne, e siamo a posto!

Voglio che entri anche Jader in ambulatorio. Io non ho il coraggio di guardare il tallone, che almeno lo veda lui: mi sorride e alza il pollice.
Sì, mi fa male. Ottimo, mi meraviglierei del contrario. Sempre spiritoso, il che da un lato è un bene, ma dall’altro mi rende perplessa: lo fa per sdrammatizzare, perché non sa come affrontare la situazione, o è davvero sicuro che tutto proceda come deve procedere? Mi toglie i punti: dolore, ma almeno stavolta non ci sono dubbi sul fatto che mi abbiano ricucita. Allora, quali sono i prossimi programmi? Che programmi? Non so, la maratona di New York, o chissà dove? Eh, correrà mai più questo piede? Iniziare a fare bagni caldi tra due o tre giorni, quindi riprendere con calma la vita normale. Come faccio a crederci, considerato quanto dolga ancora e, soprattutto, ciò che accadde appena qualche mese fa? Eppure, crederci è fondamentale. È arcinoto il ruolo della testa in ogni processo di crescita personale, quale che sia la sfida di affrontare: sportiva, lavorativa oppure di guarigione. Non riesco a liberarmi dal terrore di restare per sempre invalida, mi raffiguro gli scenari più catastrofici. Cosa potrei fare se il danno risultasse irreparabile? A chi potrei rivolgermi? In miseria come sono, non avrei nemmeno la possibilità di cercare altri specialisti, di tentare diverse strade. Autoflagellarmi, sempre e comunque. È questo che mi rovina. Un fisico fragile con una testa bacata, dove voglio andare?

Comunque, oggi ho camminato e ho guidato l’auto. Non ho svolto esercizi, infatti mi sento già a disagio. Recupererò domattina – solite cose, le stesse eseguite nei giorni addietro. In realtà vorrei mettermi a pedalare: ho bisogno di sudare, di sentirmi in affanno. Ma aspetto la prognosi del fisioterapista: di lui mi voglio fidare, a lui voglio affidarmi. Mi rimetterà in piedi: mi rimetterà in pista.



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